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Estratto da "L'inganno"

 

Prologo

 

Nelle viscere della Terra, Anno 987 d.C., Covo.

 

Gli spuntoni di roccia che s’innalzavano verso il cielo sembravano lunghe braccia in cerca di misericordia. Il sommesso gorgoglio della lava, che scorreva dietro le pareti levigate, assumeva toni sempre più sinistri mano a mano che scendeva le scale scavate nella pietra che lo conducevano nel Covo. L’essere di luce si fermò a metà scalinata cozzando contro un ostacolo invisibile e fu costretto a materializzarsi. Un incantesimo anti-intrusione? Che inutile precauzione da parte di suo fratello. Eppure doveva conoscerlo abbastanza da sapere che nulla, incantesimo o anatema di sorta, l’avrebbe potuto fermare dal portare a termine la sua missione. Le sue mani si mossero con grazia, rapidità e precisione, e rimossero l’ostacolo tracciando simboli luminosi che rimasero sospesi nell’aria per qualche secondo prima di essere inghiottiti nuovamente dall’oscurità.

Scuotendo la testa, l’essere di luce continuò la sua discesa e si fermò all’ingresso della grande sala circolare mantenendo una forma corporea. I capelli castano chiaro, in morbide onde, arrivavano alle spalle larghe; i muscoli, sotto il morbido tessuto della tunica bianca che lo ricopriva dal collo ai piedi scalzi, erano tesi; gli occhi di un celeste impossibile da ritrovare persino nel cielo estivo più nitido, si spostarono sulle pareti spoglie, sull’altare sospeso nel vuoto posto al centro della sala, sull’arco di una porta di pietra proprio dietro di lui. Era questo dunque il luogo del non ritorno? Era questo lo Sheol?

Dalla penombra comparvero due occhi zaffiro. La figura, alta e slanciata, superò l’altare in pietra e gli si fece incontro con movenze eleganti.

«È un onore averti qui, Fratello», disse la voce maschile, pacata e musicale.

«Se hai ancora a cuore il benessere della tua femmina, tienila lontana da me, Belial», tuonò l’essere di luce indicando con la testa la donna nascosta nell’oscurità, proprio alle sue spalle.

A un cenno di Belial, la femmina vestita di nero, con occhi porpora e lunghissimi capelli corvini, ancheggiò silenziosamente per raggiungerlo, facendo ben attenzione a tenersi a distanza dall’essere di luce.

«Eccoti accontentato, Fratello. Preferirei comunque che non mi chiamassi con quel nome. Ora mi faccio chiamare L—»

«Sono qui in veste ufficiale, Belial, mi manda nostro Padre», tagliò corto l’essere di luce, senza dare a suo fratello il tempo di terminare la frase.

Un riflesso guizzò negli occhi zaffiro. I folti capelli biondi, lunghi oltre le spalle, ondeggiarono pigramente mentre muoveva le mani per rimodellare la materia a suo piacimento. Dal nulla apparve una camicia bianca che indossò sui pantaloni neri, stretti in vita, larghi sulle gambe e lunghi fino a coprire gli stivali di cuoio.

«Sentiamo», disse Belial quando ebbe terminato di vestirsi. «Cosa ti ha mandato a dirmi il nostro caro Padre?»

Le labbra dell’essere di luce si piegarono in una smorfia amara. «Nella sua infinita misericordia—»

Belial fece un gesto impaziente. «Vai dritto al punto, Fratello, niente fronzoli.»

L’essere di luce digrignò i denti e inspirò profondamente prima di parlare, poi con voce spenta annunciò: «Ha accolto la tua richiesta. Potrai scegliere una femmina umana, nel tempo e nella nazione che più ti aggradano. Dovrà essere votata a te e consenziente, e il tuo seme — solo per un’unica volta nei secoli dei secoli — potrà germogliare in lei dando vita alla tua stirpe.»

Belial sorrise soddisfatto e guardò con occhi trionfanti la donna vestita di nero che gli era accanto.

«Non cantare vittoria troppo presto», lo riprese l’essere di luce. «La femmina dovrà essere vergine.»

La donna s’irrigidì.

«Già», sentenziò l’essere di luce con un certo appagamento sul volto quando incontrò il suo sguardo sgomento.

«Questo è inaccettabile», sbottò la femmina emettendo un’aura violacea che riverberò avvolgendole il corpo.

L’essere di luce la squadrò con sufficienza. «Non sei tu a dettare le regole, femmina.»

«Nostro Padre deve aver sviluppato un nuovo sottile senso dell’umorismo», mormorò Belial con gli occhi che mandavano bagliori scarlatti.

«Non puoi lasciarglielo fare! Ha perso il controllo su di te da secoli, Lucky, e ora cerca nuovamente di assoggettarti, di spingerti ad abbracciare le sue stupide regole», disse la donna rivolta a Belial.

«Lucky?» ripeté l’essere di luce arcuando un sopracciglio, divertito.

La donna gli volse uno sguardo inviperito. «Hai ragione pennuto, non sono io a dettare le regole, ma sono in grado di piegarle alla mia volontà», sbottò.

«Non c’è spazio per le negoziazioni. Prendere o lasciare, Belial», disse l’essere di luce ignorando la femmina e guardando direttamente suo fratello.

Ruggendo di rabbia per quell’affronto, la donna gli si lanciò alla gola.

«No, Lil!» urlò Belial cercando di afferrarla per un braccio, ma l’essere di luce mosse le mani velocemente. Una delle pareti si squarciò facendo penetrare gli argentei raggi lunari dalla feritoia. Una saetta di fuoco si scagliò contro la donna, incenerendola.

«Qadosh barukhHu!» decantò l’essere di luce alzando le braccia al cielo.

Una coltre di particelle violacee si distaccò dalle ceneri che si dispersero come portate via dal vento e sparì attraverso l’arco della porta di pietra. Dopo aver seguito l’azione, gli occhi zaffiro di Belial assunsero un colorito cobalto, opaco. Un ringhio sommesso, più animale che umano, vibrò nella sua gola quando il suo sguardo tornò al fratello.

«Rachamanan, harachaman», disse tra i denti in risposta alla benedizione dell’essere di luce.

Quello lo guardò sprezzante. «Buffo come cambino le cose, non è vero fratello? Quando nostro Padre non ti ha assecondato nei tuoi piani lo hai chiamato debole e senza lungimiranza. Ora che ti conviene, lo definisci clemente e misericordioso?»

«Non pretendere di sapere tutto, Fratello. Sono molte le cose che ti sono oscure ad oggi.»

«Risparmiami le tue gracili scuse», sbottò l’altro riprendendo le sembianze di un essere incorporeo e luminoso. «Il patto è contratto. Sia fatta la volontà di Iah.»

L’essere di luce volò superando le scale finendo per sparire nel nulla.

 

Belial si diresse all’altare e vi appoggiò sopra le mani, sospirando. Infine, aveva ottenuto ciò che desiderava da secoli. L’unico neo di quella situazione era non poter utilizzare per quello scopo la donna che aveva scelto come sua compagna molto tempo prima. Chiuse gli occhi e raddrizzò la schiena. Avrebbe ragionato con Lil, sarebbe riuscito a farle comprendere l’importanza di quell’unica concessione di suo padre. Era fondamentale procedere con il piano e raggiungere il suo scopo. Ci sarebbe voluto del tempo, ma aveva l’eternità come scarpe e l’immortalità come abito. Sarebbe riuscito nel suo intento, ne era certo.

Si girò lentamente verso la porta di pietra e sorrise allargando le braccia. «Vieni avanti, mia diletta», disse percependo la presenza della donna.

La femmina vestita di nero fece qualche passo e si fermò davanti a lui. «Sono qui.»

Belial la prese tra le braccia e la baciò. «Hai fatto in fretta a trovare un altro corpo.»

«Sono stata fortunata», concesse Lil, dando uno sguardo al suo nuovo fisico dalle curve generose.

Belial sorrise mestamente e le accarezzò una guancia. «Il tempo è vicino», le sussurrò sulle labbra. «Il sentiero è tracciato. La decisione è presa. La nostra rivincita vedrà la luce molto presto, mia cara.»

«Sì, ma a che prezzo?» chiese lei risentita. «Una femmina umana… vergine. Sembra una postilla inserita appositamente per separarci.»

Belial affondò le dita nella chioma della femmina e trattenne un ciuffo di capelli nel suo pugno. «Non ho voglia di discuterne ora, Lil», sussurrò, costringendola dolcemente a inclinare il capo all’indietro in modo da lasciare la gola esposta. Fece scivolare la lingua tracciando un percorso dal mento alla linea tra i seni, e quando il corpo della donna reagì in risposta, soddisfatto alzò il viso per guardarla negli occhi.

«Ai dettagli potremo pensare con calma, ora il tuo Signore ha voglia di festeggiare», disse in tono deciso, prima di prenderla tra le braccia e oltrepassare la porta di pietra con lei.

 

 

 

 

 

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