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Estratto da

Faccia a faccia

Prologo

 

Nel tempo oltre il presente, Casa di Iah

 

Quando anni prima suo fratello Gabriele si era presentato da lui, annunciando:

«Ho un compito per te. Un nuovo incarico, Fratello mio», Uriel aveva pensato che sarebbe stato un lavoretto come un altro.

Non che i protetti degli incarichi precedenti fossero venuti a suonare il campanello di casa sua, dicendo:

«Ciao bello. Sono il nuovo protetto. Come ti butta?»

La realtà era leggermente più complicata, però non era mai stata una grande sfida per lui.

Il problema si era presentato quando non gli erano stati dati un nome o un’indicazione di dove trovare questo protetto e, ad aggravare la situazione, ci si era messo anche il messaggio personale di Iah:

“Farai ciò che è giusto. Ogni cosa sarà come deve essere.”

Insomma, pressioni zero da parte del Padre.

Erano passati giorni, settimane e mesi, ma Uriel non aveva trovato alcun segno del suo protetto. Aveva guadagnato una nipote, però. Una nipote di cui aveva ignorato l’esistenza fino a quel momento e che gli aveva scombussolato l’esistenza.

Dimenticato il nuovo incarico, Uriel si era concentrato sulla bimba dagli occhi smeraldo e i boccoli d’oro, insegnandole piccole cose, ma basilari, affinché potesse convivere con gli umani nel mondo degli esseri umani.

Ed ecco che il primo giorno di scuola della progenie del male — e a quel tempo la piccola sapeva incarnare in sé quest’aspetto molto bene — il primo giorno di scuola, dunque, Vivian conobbe Daniele Petronio.

Il bambino aveva preso la piccola sotto la sua ala protettiva; l’aveva messa a proprio agio, le aveva dato la sua amicizia, e lei aveva iniziato a comportarsi finalmente da… bambina.

Aveva iniziato a giocare, a parlare liberamente, ad aprirsi al prossimo. Aveva imparato a non avere più quella luce triste nei suoi occhi da gatta.

Era stato così che Uriel aveva identificato Daniele, il suo incarico amministrativo. Il suo protetto, con il padre che si ritrovava, aveva proprio bisogno di qualcuno che lo aiutasse.

Quindi, infine, gli era parso tutto cristallino all’epoca:

nipote/anticristo in progress = imprevisto;

umano/innocente in difficoltà = protetto.

Giusto? No, sbagliatissimo!

Perché il nuovo incarico era uno, ma i protetti che avrebbe dovuto aiutare e seguire erano stati due: Daniele e Vivian, come aveva scoperto solo dopo.

Oh, sì. Iah sapeva essere pieno di sorprese. Chi l’avrebbe mai detto che potesse desiderare di proteggere la figlia di Belial? Qualcuno che era in lizza per il posto di Anticristo?

Ma Vivian, nata con il prezioso dono del libero arbitrio, l’aveva usato con cuore e intelligenza. Aveva scelto la strada del bene, quando si era presentata da lui, e si era lasciata guidare per vie tortuose e piene di ostacoli verso un traguardo pieno di luce.

Ripensando a tutte le volte che, dopo aver parlato con Daniele del ruolo di Vivian in quella vita, aveva cercato di comprendere cosa gli sfuggisse, si rese conto che avrebbe dovuto sospettare che ci fosse lo zampino di Iah. Il Padre sapeva stendere un velo davanti agli occhi di qualunque creatura, se voleva che qualcuno restasse all’oscuro di qualcosa.

Avviandosi verso la sala del trono, dove suo padre lo attendeva, Uriel osservò la distesa di bianco accecante che formava la struttura della Casa di Iah.

Gli era mancata.

E gli erano mancati anche la potenza che derivava dai suoi poteri, l’amore di Iah che gli dava nutrimento e la tranquillità che si assaporava in quel luogo.

Fermandosi prima dell’arco, che introduceva alle varie stanze della Casa, Uriel fece mezzo giro su se stesso. Dove si trovavano i cancelli che gli umani pensavano portassero al Paradiso, in uno squarcio tra le nuvole, vide la Terra e provò una fitta di nostalgia.

Per quanto caotica, inquinata e avvinghiata in una coltre di oscurità, la Terra gli era cara — come pure l’umanità che la abitava.

Gli mancavano gli effluvi della terra bagnata dopo una pioggia abbondante; l’odore di cuoio e carta stampata che lo assalivano ogni volta che apriva uno dei suoi libri antichi e l’amicizia che aveva sviluppato con alcuni esseri umani incontrati nel corso della propria esistenza. Gli mancavano Vivian e Daniele.

«Mi addolora vederti così combattuto tra ciò che è il tuo dovere e quello che è il tuo desiderio.»

Volgendosi verso l’arco, vide Iah che gli veniva incontro e si inginocchiò, chinando il capo.

«Abba, perdonami per questi pensieri.»

Iah sorrise e lo aiutò ad alzarsi.

«Non c’è nulla da perdonare, figlio mio. Il tuo cuore è puro, così come i tuoi pensieri sono cristallini.»

Osservando lo stesso punto in cui si era perso lo sguardo di Uriel, Iah raddrizzò il busto, giungendo le mani dietro la schiena.

«Non hai mai nascosto di non essere concorde con il mio pensiero, Uriel. Eppure hai sempre eseguito ogni ordine che ti ho dato, in maniera esemplare. Sei sempre stato ineccepibile. Per questo che ti ho accordato l’esilio volontario sulla Terra. Per lo stesso motivo, inoltre, ti ho affidato mia nipote e il suo sposo. Sapevo che avresti fatto ciò che era giusto.»

Distogliendo lo sguardo dalla Terra, Iah lo concentrò in quello del suo Arcangelo.

«Spero che, quanto accaduto fino a ora, ti abbia preparato per il prossimo incarico che ti affiderò», disse. «Un incarico difficile. Il più insidioso di tutti. Ma vieni, entriamo.»

Facendogli cenno di seguirlo, s’incamminò verso l’interno della Casa. Una volta raggiunta la stanza, si accomodò, appoggiando i gomiti sui braccioli del trono. Giungendo la punta delle dita di entrambe le mani davanti a sé, all’altezza della bocca, rimase così per diversi minuti. Concentrato. Infine, quando alzò lo sguardo su Uriel, disse:

«Sebbene le sorti di questa guerra tra me e Belial siano ancora incerte, ci sono dei punti fermi nel futuro che attende l’umanità e noi tutti. Uno di questi è la tua fedeltà, Uriel. Anche nel momento più buio, tu non mi tradirai. Anche quando tutto ti sembrerà perduto — o lo sarà realmente — tu non mi rinnegherai.»

Uriel chinò il capo, portandosi una mano al cuore. Era il saluto degli Arcangeli. Il rinnovamento di un giuramento di fedeltà nei confronti del Padre, fatto tempo per tempo.

Riconoscendogli il gesto, Iah continuò:

«È per questo motivo che ho deciso di metterti al corrente di quanto avverrà sulla Terra, negli ultimi giorni. Questa rivelazione però non potrà essere condivisa con nessun altro.»

Uriel aggrottò la fronte, confuso.

«Credevo sarebbe stata un’informazione di pubblico dominio tra gli angeli!»

Iah volse lo sguardo verso la porta d’entrata e fece un sorriso amaro.

«Abba?»

«La perfezione è un insieme di elementi miscelati ad opera d’arte. Come un esperimento chimico, se ogni elemento non sarà attentamente dosato, questi esploderà tra le mani del suo creatore», disse Iah. Ripuntando gli occhi dal colore indefinito su di lui, aggiunse: «La mia stessa creazione mi è esplosa in mano, Uriel. Il risultato è devastante.»

«Non puoi ritenerti responsabile per gli errori commessi da Belial e il suo seguito, Abba! Hanno scelto loro la via della perdizione e del male.»

Iah scosse il capo.

«Non è di loro che parlo, figlio mio.»

Il Padre alzò una mano per mettere a tacere le obiezioni di Uriel, volgendo nuovamente lo sguardo verso l’entrata. Anche Uriel fece altrettanto.

Dopo aver fissato a lungo la porta chiusa, esitante, riportò la sua attenzione su Iah.

«Abba, non capisco. Cosa stai cercando di —»

Alle sue spalle la porta andò in mille pezzi. Il fragore di migliaia di piedi che marciavano verso di loro portò Uriel a tentare di mettersi tra la minaccia che avanzava e Iah, ma quest’ultimo gli impedì di farlo.

Prendendolo in una morsa d’acciaio, il Padre fissò lo sguardo nel suo e sussurrò: «Apri gli occhi, angelo mio, è ora di vedere!»

 

1

 

La sala del trono, nell’alto dei cieli, era in fermento. Michele sapeva che non erano stati radunati in quel luogo per una casualità. C’erano novità importanti e, diversamente dalle altre volte, Iah voleva annunciarle personalmente a tutti i suoi angeli.

Lo sbattere di ali e il mormorio eccitato dei suoi fratelli lo stavano innervosendo. Tuttavia, quando Yeshu’a lo avvicinò, gli sorrise, inclinando il capo in segno di rispetto. Il primogenito di Iah aveva sofferto sulla propria carne il disprezzo e la crudeltà degli esseri umani. Era nato, cresciuto e morto per loro — e a causa loro — per poterli liberare dal peccato; una sorta di tabula rasa, per ripartire da zero e dare loro un’ulteriore possibilità di redenzione.

Non era servito a nulla.

Soffermando il proprio sguardo negli occhi che gli ricordavano il suo fratello più caro, Uriel, e sulle lunghe onde castane che scendevano sulle spalle larghe di Yeshu’a, si scoprì a chiedersi se al suo posto anche lui sarebbe riuscito a portare a termine un sacrificio così grande, senza cedere.

Era stato ai piedi del fratello sofferente, su quel monte infame che si macchiava del sangue dell’Agnello di Iah, mentre esalava il suo ultimo alito di vita. E una parte di lui era morta assieme alle spoglie mortali di Yeshu’a.

Quando aveva sentito la mano delicata di Uriel scendere sulla sua spalla, si era voltato verso di lui. Gli occhi di Uriel, velati di lacrime e colmi di pietà, erano stati la sua disfatta.

In cerca d’amore, dopo aver assistito a così tanto dolore e crudeltà, si era lanciato tra le sue braccia, stringendolo con forza.

Uriel era stato la sua àncora. Colui che aveva riportato equilibrio nel suo essere e il sole che aveva sciolto il ghiaccio attorno al suo cuore.

Le nubi si erano ammassate nel cielo, nere e turbolente, e avevano pianto con loro. Dopo molte ore, si erano diradate, mentre loro restavano spettatori inermi di quella scena raccapricciante. Più tardi, Yeshu’a era stato adagiato ai piedi del palo di tortura. Il suo cadavere era stato curato e preparato per il rito funerario.

Perdono. Il perdono era stato un concetto astratto per Michele, fino a quel momento.

Quando il primogenito di Iah era tornato nella sua forma di essere di luce, dopo il riposo di rito, Michele non aveva trovato nel suo sguardo ciò che provava lui stesso. Non c’erano stati ira o voglia di rivalsa in quegli occhi azzurri come il cielo. Dolore, accettazione, perdono e un amore infinito, erano state le uniche emozioni che ci aveva trovato.

Era stato allora che Michele aveva iniziato a dubitare di se stesso. Era stato allora che il timore di essere più simile a Belial, piuttosto che a Yeshu’a, aveva cominciato ad allarmarlo, facendosi strada nelle profondità del suo essere. Allora e solo allora, aveva cominciato a notare come la sua luce si stava giorno dopo giorno affievolendo, nonostante la sua vicinanza fisica a Iah.

Deglutendo, serrò gli occhi per scacciare quei pensieri deleteri e concentrarsi sull’assemblea che continuava a muoversi frenetica dinnanzi ai suoi occhi.

Percepì immediatamente l’arrivo di Iah, quasi che la sua presenza fosse una mano calda che sfiorava la sua pelle. Alzando il capo per un istante, incontrò il suo sguardo.

Il Padre sapeva.

Si era aspettato condanna da parte sua, invece trovò solo rispetto. Esisteva qualcosa di peggio?

 

Uriel aprì gli occhi sentendosi disorientato. Mettendosi a sedere, si guardò le mani: sprofondavano in una sabbia chiara, dal colore dorato, simile a polvere di cipria.

Era circondato da sterpaglia secca, immondizia e alti palazzi diroccati.

Come ci era arrivato lì? E soprattutto, dove era quel “lì”?

Mettendosi in piedi, si spolverò la veste, poi mosse qualche passo verso un muretto fatto di pietre tondeggianti e bianche. Non riconosceva quel posto, non ricordava come ci era arrivato. A dire il vero non ricordava nulla, la sua mente era confusa e annebbiata.

Giunto in quello che sembrava uno stretto cortile abbandonato, guardò oltre di esso e vide il portone che immetteva nel condominio annesso. Spinto dalla curiosità, andò alla porta e girò il pomolo che scattò immediatamente, dandogli accesso a diverse rampe di scale.

Salendo quegli scalini, arrivò al secondo piano della palazzina e si fermò davanti a una porta rossa, accostata. Il posto era avvolto in un silenzio irreale. Varcando la soglia, si trovò in un ampio spazio pieno di mobili laccati e vuote bacheche quadrate, protette da vetro fumé.

Facendo ancora qualche passo avanti, poté vedere una cucina ammobiliata. I pensili pendevano dalle cerniere di metallo e sembravano essere sul punto di cadere da un momento all’altro. Sul tavolo impolverato, c’erano ancora i resti di quello che doveva essere stato l’ultimo pasto consumato dagli occupanti dell’appartamento. Sembrava essere passato parecchio tempo da quel giorno.

Perché si trovava in quel luogo? L’ultimo ricordo che aveva era quello di essere stato colpito da un anatema nel cortile della casa di Piazzale dei Martiri ad Acque Tiepide. Aveva temuto di spegnersi per sempre. Giacché non possedeva un’anima, nulla sarebbe potuto tornare al Padre.

Cosa era questo luogo? Aveva pensato che dopo la sua morte non sarebbe più esistito.

«Abba?» chiamò.

Quasi fosse una risposta al suo richiamo, d’improvviso, il silenzio venne rotto da un rombo che fece tremare le pareti.

«Presto! Da questa parte!» sentì gridare da una voce che riconobbe immediatamente.

Cercò di smaterializzarsi ma non ci riuscì. Corse fuori dall’appartamento, scendendo le rampe due scalini alla volta. Infine, in prossimità del cortile, si guardò attorno ma non c’era traccia di Daniele. Eppure era stata sua la voce che aveva sentito, ne era certo. Non poteva averla immaginata. Ci furono altre esplosioni e forti scosse. La terra tremò sotto ai suoi piedi.

«Non riusciremo a seminarli», sentì dire a Vivian. Era affannata, come se avesse corso fino allo sfinimento. «Dobbiamo fermarci e combattere.»

«Vivian!» chiamò usando tutto il fiato che aveva in gola.

Fece un giro su se stesso, per individuare la fonte di quelle voci, ma non c’era nessuno. Dove erano? Perché non riusciva a vederli?

Tentò di sondare i dintorni, ma non percepì nulla. Possibile che avesse perso del tutto i propri poteri? Proprio ora che Daniele e Vivian sembravano averne più bisogno?

«Se non riesci a smaterializzarti, usa le ali», urlò ancora Daniele per farsi sentire tra le esplosioni.

«Non ti lascerò da solo. Scordatelo!»

In quel momento, Uriel fu sfiorato da una sfera di energia potentissima. La forza del colpo lo buttò a terra. Alzando gli occhi al cielo, finalmente, vide la coppia sopra il tetto del condominio in cui era appena stato.

Vivian teneva Daniele per il bavero della maglia mentre lui, sospeso nell’aria, cercava un appiglio per tirarsi su.

Con il cuore in gola, Uriel tentò nuovamente di smaterializzarsi per andare in soccorso dei due ragazzi, ma restò incollato a terra.

«Abba, ti prego. Ho bisogno dei miei poteri! Ti supplico!»

Un’altra scossa smosse il terreno, facendolo balzare all’indietro. Una nebulosa di polvere e detriti lo rese cieco. Nonostante ciò, tentò di raggiungere la palazzina, strisciando nella sabbia.

«Noooooooo!»

L’urlo agghiacciante di Vivian gli fece accapponare la pelle e lo fermò a metà del tragitto.

«Vivian!» la chiamò, senza però ricevere risposta. Maledizione! Non riusciva a vedere quanto stava avvenendo, e il rumore assordante delle piccole scosse di terremoto, che continuavano a susseguirsi, gli rendevano impossibile comunicare con sua nipote. Provò a chiamarla mentalmente, ma il risultato fu lo stesso di quando aveva cercato di smaterializzarsi.

«Vivian!» provò di nuovo a chiamarla a gran voce.

Nessuna risposta, però continuava a sentire le sue urla disperate. Cosa stava succedendo?

Oh Vivian, cosa ti stanno facendo?

Sfregandosi gli occhi irritati, per pulirli dalla sporcizia che gli impediva di vedere chiaramente, finalmente scorse la coppia davanti a sé, a poco più di cento metri di distanza.

Daniele era tra le braccia di Vivian, che rannicchiata a terra, continuava a dondolarsi avanti e indietro mentre urlava e singhiozzava disperata.

Il ragazzo aveva gli occhi aperti, ma…

No. Non poteva essere. Non Daniele! Era la luce di Vivian, la sua àncora di salvezza. L’unica difesa di sua nipote contro la Bestia ereditata dal padre.

Carponi, cercò di raggiungere la ragazza, ma lei puntò uno sguardo di fuoco verso qualcosa all’orizzonte. La sua aura si espanse, oscura e potente, alzando una colonna di sabbia che vorticò attorno a lei e a Daniele, nascondendoli.

Con le braccia volte verso i due ragazzi, nella speranza di salvarli in qualche modo prima che Vivian facesse qualcosa di irreparabile, provò a mettersi in piedi, ma gli fu impossibile.

Venne investito da una forza invisibile che gli tolse il respiro, sospingendolo verso la parte opposta. Annaspando, cercò di riprendere il controllo del proprio corpo, ma non fece in tempo e cadde. Sentì qualcosa di appuntito conficcarsi nelle sue carni e lanciò un urlo di dolore. Impossibilitato a sopportare ulteriormente quella sofferenza, perse i sensi e venne avvolto dal buio.

[Fine estratto]

“Faccia a faccia”, il terzo volume di LSDB, sarà disponibile nel 2017.

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