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Estratto da 

La storia di Q

4 Finchè morte non ci separi

 

 

La Basilica y Real Santuario Mariano de Nuestra Señora de la Candelaria, situata nella parte meridionale di Candelaria, lungo il mare, era addobbata con fiori profumati e nastri bianchi e rosa di raso.

Era stupenda come mai l’avevo vista prima, ma forse ero di parte.

Procedevo verso l’altare maggiore sostenuta dal braccio di mio padre, elegante nel suo abito blu da cerimonia. C’era stato un momento di panico generale meno di dieci minuti prima, quando avevo provato a scendere dall’auto e mi ero sentita mancare.

«Tutto bene», aveva assicurato mio padre a qualcuno. «Ora sta bene».

Ma io non stavo bene per niente.

Serravo il bouquet nella mano sinistra, lo stavo praticamente stritolando e mi aspettavo che da un momento all’altro urlasse ed esalasse l’ultimo respiro spezzato tra le mie dita.

Mi sentivo un’assassina di bouquet.

A cosa pensano le spose mentre compiono gli ultimi passi lungo la navata di una chiesa? Non me lo ero mai chiesta prima.

Io stavo pensando di scappare via. Il piano di fuga era semplice: mi sarei precipitata verso una delle porte laterali e mi sarei nascosta nel camerino della Vergine o nel piccolo tempio annesso alla Basilica.

Avrei dovuto pazientare un po’, tenere duro qualora avessero cercato di stanarmi; mi sarei dovuta barricare per bene, ma alla fine si sarebbero stufati di bussare, di cercare di riportarmi lì, davanti a tutta quella gente che mi stava guardando in quel momento.

I venticinque gradi esterni sembravano essere stati inghiottiti dai brevi ma frequenti brividi che mi stavano attraversando il corpo.

Respira, Maria, respira!

«Ohi mama», mormorai.

«La mamma ti aspetta al primo banco insieme agli altri», cercò di rassicurarmi mio padre, fraintendendo le mie parole.

L’altare si stava avvicinando rapidamente, cercai di frenare il tremore del labbro inferiore arricciando la bocca. Sicuramente chi mi avesse guardata in quel momento, avrebbe pensato che sembravo un’idiota. No, nessuna sposa con indosso quell’abito meraviglioso sarebbe potuta sembrare un’idiota.

Era molto semplice come piaceva a me, con giochi di trasparenze creati dall’intersecazione di forme geometriche, stoffa su stoffa. Ogni mio passo increspava la seta facendola sussurrare nell’eco silenziosa della grande chiesa colma di invitati. Il velo non mi copriva il viso, ma solo i capelli, e scendeva fino a metà della mia figura. Lo strascico che originariamente doveva essere lungo circa tre metri, era stato ridotto dietro mia richiesta a solo un metro e mezzo.

Non avevo ancora sollevato gli occhi dal pavimento. Cercavo di tenere la mente sotto controllo, il corpo sotto controllo, tutto sotto controllo.

Ma di quale controllo stavo parlando?

Quella mattina mi ero svegliata assonnata e infelice. Non ero riuscita a dormire a causa del nervosismo, e le profonde occhiaie erano state motivo di preoccupazione per l’estetista. La parrucchiera si era data da fare senza una parola invece. Aveva spazzolato i capelli e li aveva legati dietro la nuca in un complicatissimo chignon, fatto di riccioli scolpiti con la lacca. Probabilmente sarei rimasta calva prima della fine della cerimonia data la quantità di gas che era stata imposta ai miei capelli quella mattina, ma il risultato ottenuto era stato davvero ammirevole.

Poi, dopo la parrucchiera e l’estetista, era arrivata la sarta.

«Sei bellissima, perfetta», aveva continuato a dire con la sua voce squillante, mentre infilava i suoi spilloni voodoo in ogni centimetro del mio corpo.

Se ero tanto perfetta perché aveva continuato a ritoccare quell’abito? La legge condanna la crudeltà sugli animali, ma non ho mai sentito parlare di leggi contro la crudeltà verso le spose. Non esistono, ma qualcuno dovrebbe inventarle!

Quando avevo indossato le scarpe col tacco che aveva portato mia madre poi, mi ero sentita morire.

«Cerca di stare dritta, non ti ho fatta nascere con la gobba», aveva affermato, severa.

«Ohi mama», gemetti ancora, lasciando da parte i miei pensieri e tornando al presente.

Mio padre mi guardò spaesato.

Ma lo vuoi sposare Ramon? — mi chiese la voce acida di mia madre nella mia mente.

Santo cielo! Non ero ancora sposata e già parlavo come lei? Povero Ramon.

Mi soffermai a riflettere. Ero davvero sicura di voler stare con quell’uomo finché la morte non ci avesse separati?

Stando alle pulsazioni, la mia dipartita sarebbe avvenuta molto presto, quindi in effetti quel “finché morte non vi separi” poteva prestarsi a diverse interpretazioni, pensai con ironia, ma non ero in grado di darmi una risposta seria, matura, serena.

«Maria?»

La voce vicinissima di Ramon mi scosse. Sobbalzai, sorpresa. Ci eravamo fermati e io non me ne ero neppure resa conto.

«Devi lasciare il braccio di tuo padre, amore mio», mi sussurrò dolcemente l’uomo che avevo accettato di sposare.

Mi accorsi in quel momento che stavo stritolando, oltre al mio bouquet, anche il braccio di mio padre.

«Ah», dissi come se quell’unico suono potesse spiegare la tempesta che mi sentivo dentro, come se potesse significare qualcosa di concreto, che desse un senso alle mie azioni.

Sentii le mani di mio padre cercare di staccare le mie dita dal suo braccio. Sicuramente gli avrei lasciato i segni di quella giornata.

Cercai di cooperare, mentre dietro alle mie spalle si alzava il brusio incontrollato della folla accorsa a vedere il rampollo della famiglia Solis che sposava la figlia dell’umile portiere d’albergo.

Chiusi gli occhi per un attimo, il tempo necessario a calmare i miei battiti e inspirai profondamente. Lasciai che l’ossigeno si espandesse in ogni parte del mio corpo e poi lo rilasciai, aprendo gli occhi e fissandoli in quelli di Ramon che mi guardò con aria divertita.

Se potessi leggere nel pensiero non ti divertiresti così tanto, tesoro — pensai, prima di concentrarmi una volta per tutte sulle parole del vescovo che avrebbe celebrato il nostro matrimonio.

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